Il disegno
di Omar Galliani
Sono stanco di ripetere al muro le mie ossessioni, anche per oggi temo di non riuscire più a lavarmi le mani e gli occhi.
Non c’è più luce attorno, o forse è talmente tanta che non riesco più a vederti. Tu che mi parli nell’ombra e cerchi di nasconderti nonostante il silenzio e l’indifferenza del mondo abbiano lasciato il tuo profilo su quel calice di cristallo azzurro che mi chiedevi di disegnare tutte le sere.
Ascolta. Tu devi soltanto saper guardare e ascoltare in silenzio. Quel che il disegno ti dice è lì davanti e non devi piegarti su un fianco per sentire meglio. Siediti e inspira.
Quanti respiri occorrono per realizzare un buon disegno? Tanti.
Sembra che le mostre siano fatte soltanto di opere appese o sedute. No. Le opere che vedi attorno a te sono tanti respiri o un solo lungo infinito respiro.
Anche il disegno si contrae come il tuo petto e cerca nella sua corsa una via d’uscita lungo le pareti della galleria.
Ho sempre più difficoltà nell’accettare le mie opere appese a un filo o ad altro. Meglio in un angolo al buio dove i tuoi passi lasciano scie opache sul legno.
Cosa sia un disegno non te lo posso dire. Cosa sia un segno sì. Leonardo, parlando del disegno, descriveva le muffe, il salnitro ed era già lontano nei suoi paesaggi. Miraggi e dispersioni. Messe a fuoco e viraggi di un guardare dentro e fuori le cose. Proprio come fai tu con il tuo calice azzurro che ora accosti e poi allontani dai tuoi occhi.
La nebbia dalle mie parti a volte aiuta a leggere il disegno con maggior attenzione.
Tende al grigio la nebbia, ma se la illumini da dentro, il suo pulviscolo ne espande la luce fino a creare orizzonti di difficile comprensione.
Il tuo fiato ha appannato il bicchiere e con il mignolo hai tracciato una stella, l’unica nel mio studio questa notte.