Nocturno, Montevideo, dal 4 al 29 febbraio
a cura di Alessandro Romanini e Massimo Scaringella
Omar Galliani da moltissimi anni è una figura centrale del panorama artistico italiano non solo per aver aderito tra i primi, negli anni ‘80 alla “nuova figurazione” ma per aver sviluppato nel corso del tempo una tecnica di lavoro “unica” nel suo genere, che lo ha portato ad esporre in molti paesi del mondo. In questa occasione l’artista, per la prima volta in Argentina, presenta una affascinante installazione di disegni già presentata al Gabinetto dei disegni degli Uffizi di Firenze dal titolo “Notturno” e un nucleo di opere che ripercorrono il suo percorso artistico degli ultimi anni.
Rivisitando la storia dell’arte Omar Galliani è sempre stato istintivamente portato a privilegiare il disegno e la composizione, rispetto alla forza coloristica che nelle sue opere era e rimane comunque sempre sottofondo. La supremazia del disegno è per lui, rispetto a un uso del colore che rimane un mezzo, una sorte di tramite, da utilizzare come “medium espressivo”, asservito alla forma compositiva e al piacere della contemplazione.
Le opere su tavola di Galliani sono un elogio dei tre regni: minerale (la grafite), vegetale (il pioppo), animale (l’anatomia umana). La lenta sedimentazione della grafite crea le immagini, stati dell’essere che devono la propria identità all’infittirsi dei segni sulle nervature del legno o nella porosità della carta. In particolar modo, il legno di pioppo è un materiale vivo, si dilata e si restringe a seconda del clima, delle stagioni, sottoponendosi ad un lento ma graduale ingiallimento, che anno dopo anno scandisce il passare del tempo. Il supporto diventa quindi esso stesso parte della creazione, di un instancabile divenire demiurgico che prosegue laddove si è interrotto l’intervento dell’artista, risolutivo sì, ma mai assoluto.
Viceversa, la grafite, considerata dall’artista una “geologia profonda”, genera la profondità siderali dell’immagine, volti e corpi che sono come pianeti, costellazioni capaci di assorbire e stillare il fulgore tenebroso della mina. Probabilmente non basterebbe un’unica grande specola per osservare tutte queste anatomie che solo in lontananza posso identificarsi in una donna – anima aurorale “biologia originaria a cui apparteniamo”…….. I Disegni siamesi sono simboli dall’infinito, le Nuove anatomie sono simboli biologici che attengono al loro farsi opera ( non di segno anatomico ma anatomia del disegno medesimo), mentre i Nuovi Santi sono simbolo dell’erotismo, sospesi tra la percezione dei sensi e le visioni interiori ( nel cui mezzo traviamo l’abisso, oscurità dell’esistenza che altro non è un indefesso ricominciare). Ma se le Sante dei testi canonici erano troppo caste e ascetiche per suscitare il desiderio della lussuria le (Ma)donne di Galliani sono più sensuali che spirituali.
Diversamente dalle Beate ieratiche, capaci di infondere la pace dei sensi, i Nuovi Santi sono delle modelle il cui glamour induce in tentazione. Fascino, sensualità e seduzione instillano nello spettatore la convinzione di poter giacere con loro in un amplesso tutt’altro che virtuoso. Allontanandosi della castità della fede, le dive-donne si avvicinano più verosimilmente alee dee peccaminose della mitologia, sempre al centro di amori irrefrenabili e turbolenti. Ebbene, le figure di Galliani sono una fusione di mito e religione, il nimbo (a guisa di corona di spine) le consacra e contemporaneamente le fustiga (rimanendo insanguinata). La passione religiosa, intesa come tormentosa afflizione, cede alla passione amorosa, carnale e quotidiana. In pratica siamo passati dall’estasi alla trance sessuale, tensione erotica in odor di peccato e non già di santità. (Cfr A. Zanchetta).
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